L’Infinito (processo).

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa poltrona, che da tanta parte

dall’ultimo grado il processo esclude.

Ma sedendo e sperando, in interminati

rimandi al di là da quella, e sovrumane

votazioni, e profondissima quiete,

io nella villa mi fingo, ove per poco

la Pascale non si spaura.

Odo stormir tra questi banchi, io quello

infinito processo, a questa accusa 

vo comparando: e mi sovvien l’eterno (ricorso)

e le morte leggi, e la retroattività,

e viva e il suon di lei. Così tra questa

tornata s’annega il denaro mio,

e il naufragar m’è aspro in questo tribunale.

 

 

 

Il duello dei sacrifici.

Passano impietosi i giorni contati di questo governo condannato dall’inizio, con evidenti problemi di coesione e grandi lacune di dialogo. Un governo che nessuno voleva, né il centrosinistra, che aveva ripetuto a mantra per tutta la campagna elettorale la frase ormai diventata oggetto di scherno: “Mai con il PDL, Mai con Berlusconi”. Né il centrodestra, che ha tuonato per anni, quasi fossero costantemente in campagna elettorale: “Mai con i comunisti”. Eppure adesso, per colpa un po’ di tutti, con esclusione forse di SEL e SC, ci ritroviamo governati da entrambi, insieme, proprio come volevano evitare dall’inizio. Un governo di collaborazione per il bene del paese, con ideali e proposte contrastanti, costretti ad essere discussi da nemici eterni. Si può dunque giungere ad una conclusione: in questo governo si faranno delle cose che piacciono al centrosinistra, altre che piacciono al centrodestra. Giusto? Giusto? Invece no. Questo governo si trova ad essere di fatto un governo di centrodestra, dove soltanto le proposte del centrodestra vengono accettate o quantomeno discusse, con totale mancanza di rispetto verso le proposte degli altri gruppi parlamentari. In un governo di collaborazione, dove bisogna fare sacrifici, dicono, dove bisogna ascoltare i bisogni di tutti, dicono, gli unici a sacrificarsi sono quelli del PD, costantemente piegati a tutte le richieste del PDL e di SC (cosa mi tocca dire…). Tutto ciò ha grandi ripercussioni su come il PD viene visto dall’elettorato, venendo accusato (giustamente) di tradire le promesse che hanno occupato lo spazio di mesi. Tutto ciò è ovviamente inaccettabile, soprattutto se l’interessato è il partito vincitore delle elezioni, dunque che dovrebbe dettare le linee di guida di questo governo. Il problema? Nessuno riesce a dire le cose come stanno, non c’è una personalità che si imponga sulle altre, che dica basta, che rivendichi il diritto del PD di essere condottiero e non semplice sguattero. Sorge dunque un dubbio, un dubbio atroce ed antico, che risale ai tempi dei vecchi DS. Che come un veleno ha indebolito questa sinistra orfana di un vero leader. Un veleno riconducibile ad una persona.  Il mio dubbio è: ma se a loro andasse bene così?

Il renzino d’Italia.

Nei giorni afosi dell’estate italiana, un evento torna a ricordarci la fine della tanto amata e sospirata “pacchia”, ed il ritorno al doverci curare di cose importanti, come il lavoro e, soprattutto, la politica, la deturpata arte del fare pubblico. Questo evento è la Festa Dell’Unità, la grandissima festa del più grande partito sempre più di centro e sempre meno, ahimè, di sinistra. Decido, in preda ad un attacco di noia, di attendere al grande comizio pubblico del preannunciato idolo delle masse, il mitico sempre giovane erede della DC, Matteo Renzi. Trasudo emozione da tutti i pori (o forse sono solo lacrime…). Egli, più amato di un caffè per un napoletano, più osannato di Maria durante una messa (con buona pace dei cattolici…), è il principale candidato alla segreteria del partito, e sembra che abbia già vinto (ancora prima di essersi candidato). Ho voglia di essere lì, a parte gli scherzi, per poter finalmente sentire qualcosa di concreto uscire dalla sua bocca, dopo mesi e mesi di populismo. Nel peggiore dei casi mi sarei mangiato una buona piada. Giunto sul luogo, la visione è desolante: poca gente, meno volontari, clima da cimitero. Tutto questo ovviamente dovuto al fatto che il PD ha tradito i sui elettori, almeno alcuni di essi, “one too many times” (una volta di troppo). Dopo la cena, noto un’improvvisa ondata di gggggente gggiovane dentro (per dire qualche ragazzo e molti vecchi e persone di mezza età), ed è il tripudio all’arrivo del celeberrimo: applausi, schiamazzi, urla e vecchietti estasiati (con una desolante colonna sonora in background di Jovanotti, mega-sigh). Il sindaco di Firenze comincia con una battuta, una delle tante che occuperanno quella serata piena di retorica, vaghezza e due o tre critiche al sistema, tutte tenute insieme da ciò che ha fatto nella sua città. Dopo un picco di parole vibranti e strappalacrime, abbandona il palco, con la folla in orgasmo completo. Eppure, in mezzo alla massa, non riesco ad essere convinto.